LE CRITICHE

LUIGI TENCO GIOCA A SCACCHI In questa pagina vengono pubblicate tutte le critiche, le ingiurie e le cattiverie, debitamente documentate, che abbiamo trovato a proposito di Luigi Tenco e del suo suicidio (o presunto tale).

Questi "critici" da salotto non hanno risparmiato alla memoria di Tenco parole pesanti; c'è persino chi è arrivato a dargli pubblicamente del codardo e del vile.

NB: al famoso articolo di Ugo Zatterin è stata dedicata una pagina speciale.

Sergio Zavoli - questo ipocrito commento venne letto al Telegiornale il 27 gennaio 1967 da parte di un giornalista che in questo modo certamente non ha reso un onore alle proprie capacità professionali.
"Ieri sera, ventidue milioni di persone non sono state capaci di dare a Luigi Tenco il test di una vita già largamente conquistata, rispetto a quella comune, nè fargli sentire d'essere in debito anzichè in credito, con un mondo che lusinga tutti i giorni e tutti i giorni ripaga abbondamentemente il talento di questi giovani cantanti".


"Il Giornale d'Italia" - questo commento altamente reazionario venne pubblicato sul numero del 28 gennaio 1967.
"Ecco il risultato di una generazione che chiede sempre più libertà e sempre meno doveri, meno vincoli di ordine e di disciplina per ogni norma e autorità. Ecco che cosa accade a volere l'amore e non la guerra: che si muore per una canzone. È questa la scelta che abbiamo lasciato fare ai giovani che proclamano con indecente volgarità la preferenza per l'amore anzichè per la guerra. Ecco che cosa accade a preferire l'amore anzichè il sacrificio, il rischio e il dovere. Ora credono solo in un microfono".


Lietta Tornabuoni - sebbene abbia scritto in passato un ottimo articolo che denunciava l'atmosfera di ipocrisia che si respirava a Sanremo poche ore dopo la morte di Tenco, la Tornabuoni ha dato lei stessa prova di quella ipocrisia scrivendo questo commento, apparso su "La Stampa" di lunedì 10 aprile 2000, a pagina 20. Naturalmente abbiamo provveduto a scrivere una e-mail di protesta al direttore responsabile del quotidiano torinese, chiedendo di conoscere dove mai avessero letto una simile dichiarazione rilasciata da Tenco, ma nessuno si è degnato minimamente di risponderci...
"[...] morire è meno faticoso, meno snervante e, come diceva Luigi Tenco, fa soffrire meno".


Claudio Villa - mentre stava festeggiando la sua vittoria nel Festival insanguinato, rilasciò questa disgustosa dichiarazione a "La Stampa", che la pubblicò il 29 gennaio 1967.
"Quel Tenco ha sbagliato tutto: è come se uno venisse a Sanremo con le ultime diecimila lire che gli rimangono in tasca; le gioca alla roulette, e perdendo, si dispera e s'uccide".


Osservatore Romano - questo vergognoso commento apparve sul numero del 28 gennaio 1967.
Roma, 28 - Il suicidio di Luigi Tenco è un gesto ingiustificabile e disperato che "denuncia", col suo assurdo limite la sfasatura di un ambiente dove illusioni, fantasie ed interessi sfociano in una costruzione di falsi valori, spesso senza reale validità e fondamento.


Umberto V. Cavassa - l'allora direttore responsabile del "Secolo XIX" si esibì in una sconcertante raccolta di luoghi comuni, nel suo articolo di fondo pubblicato il 28 gennaio 1967.
"[...] Il suicidio di Tenco rispecchia una situazione morale, una civica educazione sbagliata. È un sangue, quello di Luigi Tenco, che ricade sui grandi responsabili della moralità pubblica. Sui demolitori degli ideali di severità e di disciplina donde l'Italia nacque a nazione, sui romanzieri e i cineasti, su quanti per motivi d'interesse o anche nella convinzione di obbedire alle esigenze dell'attualità, fanno del piccolo mondo della canzonetta la 'cosa' più importante della vita italiana, quella attorno a cui si accentra l'attenzione morbosa di chi desidera, di chi sogna, di chi invidia".


Riccardo Bacchelli - dal libro di Aldo Fegatelli.
"Non vale la pena spendere parole per la futilità di certi suicidi".


Bruno Lauzi - dal libro di Renzo Parodi.
"Quando si trovava davanti ad un ostacolo Luigi lo saltava. Come accadde a Sanremo".


Bruno Lauzi - dall'opera in fascicoli "Profili Musicali - Autori e interpreti della canzone italiana", 1982.
Ormai si dice che quando qualcuno non sa cosa fare scrive un libro su Tenco. È un'abitudine che sta diventando un po' eccessiva: i libri su Tenco si stanno moltiplicando. Se io avessi preso i diritti di autore ogni volta che ho dovuto rilasciare dichiarazioni su Tenco per libri che sono usciti in questi anni sarei ricco. Non si sa più cosa dire; a un certo punto uno per essere diverso e spiritoso sarebbe tentato di raccontare cose che possono cambiare un attimo il modo di vedere il personaggio anche perché molti di noi, amici di Tenco quando era in vita, stiamo cominciando a non sopportare più questa specie di speculazione a distanza sulla importanza di questo grande autore, ma non eccelso, di questo grande paroliere, ma non eccelso, di questo uomo che tutto sommato è stato trasformato in un divo, in un mito ad uso e consumo della classe giornalistica, dei disc-jockey o di qualche altro che attraverso questa mitizzazione può guadagnarsi del denaro. Tenco era un uomo come tutti, con i suoi pregi e i suoi difetti, con ombre e luci, con grande abilità e grandi ingenuità, con grandi o promettentissimi risultati e con altrettante possibilità di fallire in un futuro. Cosa avrebbe potuto dare Tenco? Questo è forse l'unico discorso da fare però è anche un discorso a vite, un discorso che non porta a niente. Avrebbe potuto dare molto, avrebbe potuto diventare il Gershwin italiano; avrebbe potuto invece fermarsi lì, non svilupparsi oltre; il solo fatto che lui si sia suicidato dimostra la sua impossibilità di uscire dalla trappola dell'adolescenza. Il suicidio è una prova di immaturità e probabilmente insuperabile. Avrebbe superato la sua maturità artisticamente?
Sarebbe riuscito a sublimarla in cose enormi o sarebbe rimasto un eterno bambino in quello che scriveva? Era veramente bravo e interessante e importante per quello che scriveva o per come suonava, ad esempio? Pochi hanno messo l'accento sul fatto che fosse uno strumentista straordinario. Era, secondo me, uno dei migliori sassofonisti in assoluto che abbia mai avuto l'Italia. Forse avrebbe vivere in un paese meno furbo, meno pronto a usare le persone in una direzione piuttosto che in un'altra. Se fosse vissuto in America, dove le qualità musicali vengono esaltate, avrebbe avuto l'agio di poter essere esclusivamente un musicista, esclusivamente uno strumentista; si sarebbe probabilmente dedicato di più a scrivere musica piuttosto che a inseguire fantasmi parapolitici di cui egli poi era una dimostrazione di contraddizione vivente perché tutto faceva meno che vivere all'altezza o nella misura dei suoi presunti ideali. Un uomo fortunato. Si diceva che avesse lo stellone dietro le spalle; si diceva: 'lo stellone di Luigi', noi amici, non ha mai incontrato ostacoli alla sua carriera, non ha sofferto per venire fuori; è stato aiutato da amici sinceri come Reverberi, da tutto un ambiente che l'ha sempre rispettato e favorito. Oggi, se non ne parlassimo noi che siamo stati suoi amici, perché ogni volta sollecitati da qualcuno che amico di Tenco magari non è stato, ma che presume di poterne ricavare ancora del sugo, non se ne parlerebbe più!
Tenco per i ragazzini di oggi non è nessuno; questa è la lezione della storia, la lezione della vita, molto più feroce di qualsiasi altra trappola che si possa inventare.
La vita è quello che è: "Polvere sei e polvere ritornerai", dicevano, e Tenco oggi non è che polvere, come noi non saremo che polvere perché i cantautori, le canzoni sono cose da mangiare calde, non sono cose da rifriggere nella mente dei secoli.
In parole povere, se ne parla troppo e vorremmo, noi che siamo stati suoi amici, essere lasciati in pace e continuare a pensarcelo per conto nostro, senza farne più un argomento di finta sociologia.


Gigi Salvadori - questo giornalista (o presunto tale) conduceva, all'inizio degli anni '70, una rubrica sul giornale "La Riviera dei Fiori", che usciva nelle edicole di Sanremo. Ecco cosa egli scrisse sul numero del 07 aprile 1973 a proposito di Luigi Tenco e del Club che iniziava in quegli anni la sua attività.
Titolo: "Luigi Tenco: un vile che ha un club"

Il Club «Luigi Tenco» di Sanremo ha organizzato martedì sera, 3 aprile, una manifestazione all'Ariston, presentando due nuovi cantautori: Roberto Arnaldi e Gianni Siviero.
Prima di questo il Club aveva già presentato al pubblico di San Remo altri spettacoli e in ordine: serata dedicata a Luigi Tenco; spettacolo di Antonella Bottazzi e recital di Giorgio Gaber e Francesco Guccini.
Attività lodevole da un punto di vista artistico. Se non ci fossero questi raggruppamenti di giovani e meno giovani, difficilmente potremmo ascoltare, dei nuovi cantautori i quali, sappiamo bene, sono per la maggior parte anticommerciali.
Quello che non riesco a capire è come mai questo Club si sia definito «Luigi Tenco». Tenco è stato un bravo cantante, un ottimo autore, ma non ha fatto nulla di particolare perché gli vengano dedicate delle associazioni; inoltre è stato un codardo perché si è ucciso, e a quanto pare per motivi futili. Ritengo che sia molto più difficile vivere che morire: la morte arriva in un attimo ed è subito finito tutto; la vita può durare anche settant'anni, ed è una continua lotta giorno per giorno, ora per ora. Se proprio si voleva dedicare questo raggruppamento di amici a qualcuno, e non a un vivo, perché non lo si è dedicato, per esempio, a Michelangelo Buonarroti, che è stato anche lui un valido cantautore?
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Gigi Salvadori

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