Da "La Stampa", ottobre 1989

Incontro con il fratello Valentino, ricordando fatti e aneddoti

Le due anime di Tenco: razionale ed altruista

Un omaggio, mentre sta per essere presentato un brano inedito

RITRATTO DI LUIGI TENCO "Mio fratello aveva paura del buio". Chi racconta, seduto di fronte a noi, è Valentino Tenco, il fratello di Luigi. Siamo nella sua splendida casa di Recco, là dove la salita comincia ad inerpicarsi verso il Passo della Ruta: "Ma non è casa mia, è la casa di Luigi - racconta - l'ho sempre detto a tutti, è grazie a lui, a guanto ci ha lasciato, se oggi i suoi parenti più stretti possono abitare qui. L'aveva scelta lui, questa casa, era sicuro che, a picco sul mare, nessuno avrebbe potuto edificare oscurando il panorama. Era sempre razionale, logico, assennato, qualunque cosa facesse".

Di Luigi si parlerà nuovamente tra qualche giorno. Anzi, di lui, della sua personalità, della sua arte, si è sempre parlato: ma l'occasione contingente, stavolta, sarà data dalla presentazione in pubblico, il 5 ottobre al Genovese, nel corso di uno special Colombiano realizzato da Canale 5, del nastro di un brano finora inedito, "Padroni della terra", tradotto in italiano dall'originale di Boris Vian. Un'occasione in più per lasciarsi trasportare sulle ali del ricordo, per scavare, comprendere, capire i dettagli di una vita intensa e di una morte ancora misteriosa dopo anni.

"Luigi non era affatto quell'introverso musone che qualcuno ha avuto interesse a dipingere - narra ancora Valentino - anzi, era un vulcano di comunicativa, di allegria e di voglia di vivere. A scuola era conosciuto per la sua sorprendente capacità di apprendimento, per la sua facilità di abbinare ottime conoscenze tecniche e matematiche alla padronanza del greco e del latino. Ma era un ragazzo allegro, scherzoso: un giorno prima dell'esame di maturità fece una tremenda indigestione di ciliegie. Stette male, ma l'indomani, davanti alla commissione, fu l'unico dell'intera sua classe a passare a pieni voti".

Era freddo, analitico nelle sue azioni: "La sua paura del buio e della solitudine era forse l'unico elemento irrazionale in lui: non riuscendo a sconfiggerla, si mise da solo a costruire un impianto elettrico per la casa che gli permettesse di comandare tutte le luci di casa da tre diversi punti, una serie di "cavallotti" che l'elettricista venuto a riparare l'impianto qualche mese dopo la sua scomparsa non volle credere fossero stati realizzati da un "dilettante". Arrivò a dirmi che non era possibile che fossero mai funzionati. Ed erano durati per otto anni!".

Ancora, il timore della solitudine: "Era un buon sub, ma dato che non voleva sentirsi abbandonato sotto le onde, si era fabbricato una radio impermeabilizzata per comunicare con me, a riva. Stavamo terminando di collaudarla quando lui mancò".

Tenco battagliero, Tenco altruista: il fratello ce lo fa ascoltare in un nastro rimasto fino ad oggi nel suo scrigno di tesori insieme a tanto altro materiale, anche musicale, mai uscito da casa sua, dove Luigi, in un circolo, ha con alcuni amici una violenta discussione sulla "commercializzazione" della canzone di protesta. E a chi gli fa notare come, allora, Bob Dylan, -fosse già divenuto autore "di mercato", lui risponde, con la solita freddezza: "Viviamo in una società industriale e dobbiamo usare i suoi mezzi anche per comunicare. La figura del cantautore di strada è pur suggestiva, ma riesce a trasmettere qualcosa solo a quelle poche persone che lo degnano". Ancora, il racconto di quando incontrò, in aereo, un Peppino Di Capri in forte crisi esistenziale. Ebbene, detto fatto, gli "regalò" tre suoi brani, "prendili, firmali e fanne ciò che vuoi", gli disse.

Non sappiamo se questo poi avvenne, ma senz'altro fu un piccolo gesto che confermò la sua vena di continua disponibilità con il prossimo. Ancora, ascoltiamo antiche interviste dove, sempre, evita di parlare di sé ma racconta della stima che ha per Dylan, per Donovan, e per "un giovane ragazzo genovese di cui ho voluto inserire un brano, «La ballata dell'eroe», nel mio film «La cuccagna»".
Quel giovane era, ovviamente, Fabrizio De Andrè. Il film fu la sua unica apparizione sul grande schermo.

Luigi dalle due anime, dunque: quella fiduciosa verso il prossimo, quella fredda e calcolatrice che accompagnava ogni suo gesto. "Per questo non ho mai voluto credere conclude Valentino - alla versione del suicidio. Al di là dei tanti elementi sospetti di quella vicenda, su cui, per motivi misteriosi, è stato fatto cadere un velo, rimane la constatazione del fatto che non credo Luigi abbia potuto compiere un gesto così difforme dalla sua interpretazione della vita, anche in un momento difficile. C'è sempre stato un mistero dietro a quella morte, e valanghe di ostacoli mi hanno sempre impedito di capire che cosa avvenne davvero in quella notte. Tanto che oggi, a sessant'anni, dispero di saperne di più".

Marco Menduni

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