LUIGI TENCO RITRATTO DI LUIGI TENCO

(fonte Saar, 1964)

Un giornalista domandò a Luigi Tenco un'intervista. Gli disse: "Mi parli di lei, della sua vita. Vorrei scrivere la sua biografia". Tenco rispose: "Sono nato 26 anni or sono a Cassine in provincia di Alessandria; sono però genovese di adozione. Abito con mia madre una casa presa in affitto a Recco. Una casa che mi piace da morire, vorrei fosse proprio mia, ma ci vuole altro. Per cantare ho smesso di frequentare la facoltà di fisica teorica. E adesso mi dica: trova interessante tutto ciò?".

Quel giornalista non trovò di meglio che scrivere, qualche giorno più tardi: Tenco è un tipo impossibile, con un carattere acre, quasi rancido. Effetto forse di letture male assimilate". Tenco sorrise: "Un altro che non ha capito niente. Voleva forse che io gli dicessi che sono alto tanti centimetri, che ho i capelli lunghi e neri, gli occhi neri e crudi, che mi piacciono i go-kart e la motonautica. Ma perché avrei dovuto parlare di queste cose? Se fossi biondo, più alto o più basso e se mi piacesse ricamare cuscini, canterei forse meglio o peggio?".

Tenco, l'anticonformista della canzone italiana. Fra i giovani in Belgio c'è uno come lui, Jacques Brel. Scrive singolari e splendide canzoni; una parla di un paese piatto, brumoso, fustigato da un vento crudele; ma gli piace perché è il suo.E tante altre, che parlano di uomini veri, con i loro difetti e le loro virtù.

Una sembra addiritttura ispirata dal Deserto dei Tartari di Buzzati: il capo di una fortezza vigila sempre in armi in attesa dell'attacco del nemico, ma quando il nemico attacca, lui è vecchio, troppo vecchio per sconfiggerlo. Un apologo. Si poteva pensare a fare di una canzone un apologo? Jacques Brel lo ha fatto. Che Johnny Hallyday o i Beatles facciano miliardi con le loro tournée lo ha sempre lasciato indifferente. Brel, ai milioni, ha dato calci nel senso letterale della parola: era destinato a fare l'industriale come suo padre, ma lui piantò baracca e burattini, visse dieci anni a Parigi a capuccini e croissant, finché le sue aspre canzoni penetrarono lentamente nelle coscienze.

Luigi Tenco è come Brel. Non so nemmeno se si conoscano, se si siano mai incontrati. Dovrebbero comunque farlo, se ancora non ci hanno pensato. Sarebbe un interessante confronto fra due espressioni diverse della stessa faccia della medaglia. Perché anche i protagonisti delle canzoni di Tenco sono uomini e donne vere, con i loro problemi, i loro dubbi, i loro tormenti, i loro sentimenti.

L'ultima canzone comincia: "Ragazzo mio / un giorno ti diranno che tuo padre / aveva per la testa grandi idee / ma in fondo poi non ha concluso niente / Non devi credere, no, ... vogliono far di te / un uomo piccolo, una barca senza vela / Ma tu non credere no, non devi credere / che appena s'alza il mare / gli uomini senza idee per primi vanno a fondo...".

C'è un'altra canzone molto significativa: quella di un uomo innamorato, ma che si è innamorato perché non aveva niente altro da fare in quel momento. "In un paese come il nostro dove l'amore gronda convenzione in ogni sua descrizione ufficiale, l'affermazione è suonata come una bestemmia" dice ora Luigi Tenco; "ma se avessimo tutti un briciolo di coraggio, quanta verità scopriremmo in questa sincera dichiarazione. Tanto più che il mio innamorato viene alla fine invaso da un sentimento vero che lo spinge a cercare tutta la notte la donna che ama". E Tenco conclude: "Ma c'è chi capisce le mie parole e le intenzioni che le animano: mi hanno detto che Mi sono innamorato di te piace come Angela e come Quando...".

Quando è stata la canzone rivelatrice. Tenco l'aveva scritta per Giorgio Gaber e gli aveva mandato i nastri con la registrazione del motivo. Gaber gli aveva telefonato: "La canzone è spendida; devi cantarla tu". Da autore, Tenco diventava anche cantante. L'aveva convinto Gino Paoli a dedicarsi interamente a questa attività: che senso aveva diventare un fisico come tanti altri soltanto per dire di avere una laurea? "Anche mio padre" diceva Gino "voleva fare di me un ingegnere navale; io invece volevo fare il pittore e per arrivarci disegnavo manifesti pubblicitari per la Sigla Effe. Così ho chiesto scusa a mio padre e me ne sono andato a seguire le mie vere inclinazioni".

Ora Tenco dice: "Credo anch'io che un uomo debba essere interamente quello che vuole essere. L'importante è sapere cosa si voglia. E io penso di saperlo. È questa sicurezza che dà fastidio a tanta gente?".

È proprio questo che Tenco non capisce (sinceramente, c'è il sospetto che faccia finta di non capire). Insomma, si domanda, che cosa dovrei fare per non essere un "problema"? Cantare e suonare twist, hully gully e surf? Oppure sussurrare di amori intimistici, alla Toi et moi e tutto il resto del mondo tagliato fuori? Perché? L'amore è forse soltanto la tragedia di Mayerling? Ma no!... Sarà anche un mezzo sicuro per fare quattrini a valanghe, e nessuno disprezza il denaro, neanche il genovese Tenco; ma ci deve pur essere anche un modo "vero" per farli. Senza autodistruggersi. E non solo moralmente.

"Sapete che cosa è accaduto a Sheila?", dice il giovane autore e cantante. "Sheila è uno degli idoles della gioventù francese. Da due anni era sulla scena, applaudita, venerata, assalita dai fan ad ogni apparizione. Aveva solo sedici anni, povera ragazza. si lasciò trascinare da quel vortice prefabbricato di popolarità. Ora ha diciotto anni; è alta un metro e settanta; pesa quarantasei chili e dai primi di aprile vive ritirata in una fattoria lungo la strada che porta da Parigi ad Amiens, per rimettersi da un male che la divora. Era in tournée a Rouanne: una domenica di marzo, con due spettacoli, mattino e sera, svenne e stette dieci minuti senza conoscenza, non appena il sipario era calato sull'ultima canzone. Aveva "tenuto" fino alla fine dello spettacolo, come "teneva" dal 13 novembre 1963, da quando cioè aveva cominciato la sua tournée in Francia. Avrebbe voluto curarsi, ma non poteva. Come avrebbe fatto? Aveva contratti, un giorno dietro l'altro, per novantacinque giorni in novantacinque città, talune distanti tra loro fino a duecento chilometri. Si poteva mandare all'aria un programma dell'ordine di decine di milioni per gli organizzatori e di centinaia di milioni per i proprietari delle sale? Non si può; bisogna "tenere" per non arrestare la catena di produzione di milioni.

Ho voluto raccontare la storia di Sheila, così come me l'hanno raccontata"
- dice Tenco - "perché penso che aiuti a capire la mia posizione. Secondo me, un cantante non deve essere soltanto una macchina da soldi. Per prima cosa deve esprimere quello che ha dentro. Uno scrittore lo farebbe con un romanzo; un poeta con una lirica; uno scultore modellando il marmo. Perché il cantante non dovrebbe farlo con una canzone? Si tratterà alla fine di vedere se è una buona o una cattiva canzone, ma solo questo. Che il cantante sia simpatico o antipatico, conta molto poco. Ma una cosa è certa: un cantante vero non può accettare le "mode", sapete cosa intendo: non basta comporre un tango perché è il momento del tango; se si fa, è perché si è convinti che sia il miglior tango. Sono una pecora tanto nera davvero se nutro queste convinzioni?".

E comunque, anche se è davvero considerata la "pecora nera" della canzone italiana, Tenco non si lascia distrarre dalla via che si è tracciata. Gli rimproverano di essere un tremendo egoista, ma lui scuote le spalle e racconta: "Quando Salce girava La Cuccagna e io dovevo cantare una canzone, avrei potuto imporne una delle mie. Ma il mio amico Fabrizio, un giovane cantautore genovese molto bravo, ne aveva scritta una splendida; e io cantai quella, dopo aver a lungo discusso con il regista e i produttori".

Gli dicono che canta canzoni d'amore ma che non conosce l'amore, quello grande. E lui scuote le spalle: "Sull'amore ho le mie idee. Un grande amore non l'ho ancora trovato e non venite a dirmi che uno non sa quando lo trova. Ma se in quell'amore uno finisce per rinchiudersi come in un'isola separata dal resto del mondo, con tutti i problemi che lo dilaniano, allora finisce per diventare come uno schizofrenico, che vive staccato dalla realtà in un mondo suo, artificiale. E io ho l'orrore dell'artificiosità".

Lo accusano di posare da antipersonaggio. E lui risponde: "Il personaggio, come l'antipersonaggio, sono qualcosa di costruito, uno stereotipo fatto in serie. E io invece voglio essere una figura vera, con le sue idee, sbagliate o giuste che possono apparire. E con quale metro giudicarle, con quello del conto in banca? Bene, lascio volentieri ad altri questo sistema metrico. A me non importa nulla di essere "integrato" nel sistema organizzativo. Sapete qual'è lo slogano più fortunato della campagna di reclutamento dell'esercito americano? Andrete in pensione a trentasette anni. Dicono che i giovani poveri degli Stati Uniti siano particolarmente sensibili a questo richiamo. Se fossi un generale, non vorrei avere un esercito di aspiranti pensionati. In ogni caso io non voglio andare in pensione fra undici anni. Canterò finché avrò qualcosa da dire, sapendo che c'è qualcuno che mi sta a sentire e applaude non soltanto perché gli piace la mia voce ma perché è d'accordo con il contenuto delle mie canzoni. E quando nessuno vorrà più stare ad ascoltarmi, bene, canterò soltanto in bagno facendomi la barba. Ma potrò continuare a guardarmi nello specchio senza avvertire disprezzo per quello che vedo".


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