Da "La Repubblica", gennaio 1987

Un colpo di pistola nella stanza 219 del Savoy di Sanremo

Luigi Tenco morì per una canzone?

Quella notte di vent'anni fa

"Non posso dimenticare quel momento, quella notte, quell'immagine di tragedia. Non ho trovato allora le parole giuste per dire quello che ho provato e non riesco a trovarle oggi, anche se sono passati quasi vent'anni. Cerco di soffocare quel ricordo insopportabile con tante memorie belle e care che l'Italia mi ha regalato". Dalida, che abbiamo incontrato pochi mesi fa al Festival del cinema di Montreal, dove era presente come protagonista di Il sesto giorno, il film-mélo del regista egiziano Youssef Shahin, accettò di discutere l'argomento della morte di Luigi Tenco, al quale il suo nome era legato professionalmente e sentimentalmente (secondo i giornali dell'epoca). "Non so, non posso, non voglio dire come e perché Luigi è morto. So solo che quella notte ho perduto un ragazzo a cui volevo bene, un amico onesto e pulito, un artista nel quale credevo".
"Quella notte" è rimasta nella memoria di tanti, un ricordo che suscita ancora angoscia, rabbia, incredulità. Forse perché non avevamo ancora esperienza di tante "morti in diretta", gesti privati o massacri di guerra, diventati in questi ultimi anni agghiacciante spettacolo televisivo, quell'annuncio alla radio del 27 gennaio 1967 - "alle 2,30 di questa mattina Luigi Tenco si è sparato un colpo di pistola…" - colpì profondamente la sensibilità di molti che l'ascoltarono.
Soprattutto di quanti avevano visto Luigi Tenco sul teleschermo, poche ore prima, cantare con il suo atteggiamento schivo Ciao amore ciao, comunque partecipe di quella che era una festa della canzone, tra i fiori del palcoscenico e gli inviti all'allegria di Mike Bongiorno. E nessuno, da casa propria, dubitava che quella fosse una festa.
L'opinione pubblica, almeno quella espressa sui giornali, si divise. Il Festival deve essere sospeso, il Festival deve continuare. Prevalsero le ragioni commerciali e, la sera del 27, Sanremo riapparve sul teleschermo, con tutti i suoi fiori e tutte le sue canzoni. Come ha ricordato Gianni Borgna in un suo articolo su "L'Unità", gli unici a protestare furono Claudio Villa e Caterina Caselli. E, poco dopo, ai funerali a Ricaldone, i colleghi di Luigi Tenco non c'erano. C'erano solo pochi amici.
Ma non è solo per soffocare incredulità, rabbia e angoscia che, allora come oggi, pensando alla morte di Luigi Tenco viene la voglia di conoscere una verità mai conosciuta. A sostenere la tesi del suicidio c'è quel famoso biglietto trovato accanto al corpo steso sul pavimento della stanza 219 dell'Hotel Savoy: "Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro il pubblico che manda "Io, tu e le rose" in finale e una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao, Luigi".
Ma gli elementi del "mistero" restano tali e sono soprattutto nella fretta con cui il "caso" fu liquidato, nel comportamento contraddittorio di chi avrebbe dovuto cercare dettagli, chiarire circostanze. E c'è quel brutto dettaglio di un corpo che fu trasportato in ritardo all'obitorio per lasciarlo a beneficio dei fotografi. E le impronte digitali mai prese sulla pistola. La circostanza mai appurata dei colpi sparati: due, si disse, ma nella stanza fu trovato un solo bossolo della 7,65. L'impossibilità, per i parenti, in particolare per il fratello Valentino, di parlare con il portiere del Savoy, di cercare un'indicazione in più per il comportamento del cantante nelle sue ultime ore di vita.
La dichiarazione degli esperti che considerano quel biglietto autografo solo al 50 per cento. Resta una totale mancanza di atti giudiziari, per cui, come ha detto Valentino Tenco, "se sulla tomba di Luigi anziché scriverci la data di morte, ci scrivessi "assassinato", voglio vedere chi mi prova il contrario"
(m.p.f.)

HOME PAGE - WEB FORUM - E-MAIL