Da "Il Corriere della Sera", sabato 28 gennaio 1967, pag.7

PIETÀ

La morte di Luigi Tenco, questo ragazzo che s'è ucciso per una canzone, riempie di sgomento per la pochezza, la futilità del motivo. È dunque oggi la vita così piccola cosa che si possa ad essa rinunciare come si legge nella lettera trovata accanto al povero corpo insanguinato, per protesta contro un pubblico cui più che la canzone scritta da un poeta piace quella buttata giù alla meglio da un paroliere? Non lo sapeva Luigi Tenco che il mondo va così? Forse no, era troppo giovane, e sulle ali di un'età aperta a tutti i sogni e a tutte le illusioni si reputava davvero un poeta.

Mi dicono avesse abbozzato un romanzo, volgesse in mente soggetti per il cinema, si vedesse già sceneggiatore e regista famoso, anticipava tempi che forse non sarebbero mai venuti, più ridenti alla fantasia e alle sfrenate ambizioni che non al talento, eppure una scintilla del sacro fuoco dell'arte la possedeva, perché non per nulla questi cantautori, che sarebbe errore confondere con i parolieri e i cantanti di mestiere, hanno conquistato il mondo della canzone. Sono piccoli poeti, d'un respiro così breve che nemmeno appanna lo specchio, ma nel lavoro pongono la serietà e l'impegno di un poeta vero, piccoli lorca e piccoli prévert creatori di palpiti e di note che non durano più di un inverno o di una estate, ma chi li avverte dei loro limiti, chi li richiama alla realtà e alla modestia?

Forse Luigi Tenco mirava più in alto, non tanto lo interessava il guadagno quanto un successo che laureandolo nel piccolo campo della canzone confortasse le sue speranze di ben altre affermazioni in campi più vasti. Nel fallimento, perciò, ha visto assai più che morire le sue ambizioni di cantautore, ha visto la fine di tutto così che il motivo del suicidio - nonostante le apparenze e a dispetto del metro convenzionale con cui si misura la rispettabilità delle estreme risoluzioni - non è nè piccolo nè futile.

Non crediate, intendiamoci, che si voglia fare il processo al pubblico e alla giuria che preferendogli autori d'assai minor valore lo hanno bocciato. Si da ogni tanto il caso di studenti suicidi per un quattro in italiano, e non per questo s'è mai ritenuto opportuno fare il processo alla scuola. Può darsi - e se davvero fosse così l'incubo della fine di Luigi Tenco farebbe presto a dissolversi - che il giovane, come alcuni vogliono arguire dal motivo dominante dei suoi versi, già da tempo, ormai, fosse nelle mani della morte, desideroso d'abbandonarsi ad essa.

Può darsi anche, e sarebbe un perfetto alibi per tutti, che di nient'altro si tratti che di un folle gesto causato dal grave esaurimento nervoso di cui si dice che il Tenco fosse affetto, ma la presenza, nella cella frigorifera dell'ospedale di Sanremo, del livido corpo nudo d'un ragazzo che fino a poche ore fa, se anche armato di niente più che di una canzone, pareva volesse muovere alla conquista del mondo, ci costringe a domandarci se questa gioventù della quale oggi non si fa che parlare come della dominatrice del nostro tempo e della padrona dell'attuale società, piuttosto non meriti, almeno in moltissimi casi, d'essere doloroso oggetto d'una pietà infinita.

Non potrebb'essere Luigi Tenco, il ragazzo che per il mancato successo di pochi versi e di quattro note si spara un colpo di rivoltella alla tempia, il segno d'una gioventù che ingannata e stemperata dal miraggio d'una vita che il mondo, a parole, si fa un dovere di prepararle facile e ricca di tutte le soddisfazioni, alla prima imprevista difficoltà si sgomenta e volta le spalle, preferendo la diserzione a una lotta che non era nei patti? Non potrebbe essere questo Luigi Tenco che così presto cerca scampo nella morte il segno d'una gioventù spaventata dalla solitudine in cui si trova non già, come comunemente crediamo, per il disdegno in cui tiene il consiglio e la guida di chi ha i capelli grigi, ma, al contrario, per la fredda indifferenza con cui chi ha i capelli grigi la guarda muovere illusa e disarmata a conquiste impossibili?

Luigi Tenco non aveva che una canzone, non voleva danaro, confidava in quella sua scintilla di poesia che in mezzo a tanta tenebra risplendeva come un sole. Ed è caduto subito.

Mosca


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