GINO PAOLI

LUIGI TENCO E GINO PAOLI (Nella foto: Tenco alla chitarra accompagna Paoli in uno studio di registrazione, nel 1963)

Tenco e Paoli, amici-rivali prima, e poi la rottura per una questione di donne (anzi, ne bastò una sola, Stefania Sandrelli).
Bruno Lauzi colloca il primo incontro tra i due a Bogliasco nel 1954, in occasione di una disastrosa esibizione (di tutto il gruppo) ad un tè studentesco.
Paoli invece ha raccontato a Renzo Parodi che Tenco gli era stato presentato da un'attrice di nome Fernanda:
"Alla sera ci vedevamo al bar della Foce per decidere dove andare a fare bisboccia: in qualche bettola, o magari a vedere le ballerine nelle riviste delle quali Bindi aveva scritto le musiche, o a sentir suonare Gaber, che era venuto a Genova a fare il rocker. Ma più spesso in cerca di donne da rimorchiare, per far l'amore dove si poteva. Allora non potevamo permetterci la macchina e neppure l'albergo a ore e così tutto avveniva all'impiedi, contro un albero o in certi spiazzi erbosi sempre affollati di coppie"
Il rapporto tra Tenco e Paoli era un misto di complicità e competizione: da un lato, una comune passione per il teatro (con progetti mai realizzati), la militanza in parecchie "band" musicali, e le burle messe a segno, come quella dell'Hermitage di Roma, quando i due arrivarono a far sospendere il campionato mondiale di tiro al piattello perchè dalla loro stanza avevano iniziato a fare troppi centri.
E dall'altro lato, la gara, come quella di spingere l'auto a tutta velocità sull'Aurelia per vedere chi arrivava prima da Roma a Genova.

Smorza i toni della rivalità Ruggero Coppola, raccontando a Renzo Parodi:
"Non erano rivali, si volevano molto bene, giocavano. Capitava che facessero a gara a chi resisteva di più con la cicca della sigaretta accesa nel palmo della mano. Erano molto attaccati l'uno all'altro"
Secondo altri, tuttavia, tra loro c'era un po' di invidia: Paoli dal canto suo vedeva in Tenco quel fascino che a lui la natura aveva negato; quest'ultimo invece doveva assistere al successo discografico di Paoli, quel successo che per lui invece stava tardando inspiegabilmente. Ad avvallare questa ipotesi, Miranda Martino che riferisce a Renzo Parodi come "il Tenco del 1965 era deluso perchè la sua casa discografica non lo stava spingendo come Paoli".

Poi arrivò il fattaccio, il "casus belli". Paoli allacciò una relazione amorosa con la giovanissima (15 anni) Stefania Sandrelli. Nonostante Gino fosse già sposato con Anna (compagna di scuola e amica di Tenco), non fece mistero con nessuno di questo suo nuovo amore.
Luigi gli ripeteva: "Non è la donna per te, e te lo dimostrerò". Detto, fatto: Luigi corteggiò la Sandrelli e se la portò a letto. Poi lo disse a Gino. Luigi da un lato forse volle vendicare il dolore dell'amica Anna, costretta a sopportare davanti a tutti il tradimento del marito, e forse - come racconta Michele Maisano a Renzo Parodi - restituire a Gino ciò che lui fece ad un altro amico: "Anni prima Gino era andato a letto con la moglie di un amico e poi gli aveva spiegato: -Ti ho fatto un favore".
I rapporti tra Tenco e Paoli si interruppero. Così Paoli racconta la faccenda in un suo libro: "Luigi sapeva che un amico lo considero in un certo senso più importante di una donna. Avrebbe dovuto parlarmi, dirmi tutto, e l'avrei capito. Anche perchè debolezze e tentazioni per me sono virtù, non difetti. Invece fu sgusciante, scelse l'insincerità. E così quando, qualche mese dopo, venne a cercarmi non volli più parlargli".
Nel libro che Mario Luzzatto Fegiz dedicò a Tenco, si legge una invettiva di Paoli contro Luigi:
"... pare che in quell'occasione Paoli avesse pronunciato una specie di condanna di Tenco: -Gigi è una nullità. Come cantante ha copiato me, come uomo è un traditore".

Ecco come invece un rotocalco dell'epoca narrava l'episodio ai propri lettori:
Luigi Tenco e Gino Paoli conoscono entrambi, e contemporaneamente, una ragazza viareggina che ha appena 14 anni, Stefania Sandrelli. Per Stefania, Gino Paoli rappresenta l'uomo ideale. Tenco, nel suo perenne duello con l'amico, non si rassegna ad essere considerato da meno, e dedica alla ragazza una canzone "Angela". Alla Sandrelli il motivo piace, e seguita a piacerle anche quando la sua conoscenza con Paoli si è ormai tramutata in intenso amore. Poi succede che, poco tempo fa, Tenco, stando alle indiscrezioni fa gli occhi dolci a Stefania Sandrelli. Paoli vede rosso, litiga furiosamente con l'ex amico ed ora dichiarato rivale, rompe addirittura ogni rapporto con lui. Quindi, per completare l'opera, dimostra a Stefania di essere capace di comporre egli pure una canzone intitolata "Angela", ed ancora più bella di quella di Tenco. Ed infatti, sotto tale titolo, Gino Paoli scrive la sua prima (e bellissima) canzone napoletana. Essa dice: "Angela, ch'a pe tte morono in tanti, Angela ch'a pe tte moro pur'io".
Qualche mese più tardi, il 13 luglio 1963, Paoli si sparò una pistolettata al cuore con una Derringer calibro 5. Il proiettile si fermò ad un millimetro dal traguardo, dove si trova ancora oggi, e così per fortuna Paoli si salvò. Nessuno sa dire se questo gesto fosse da mettere in relazione con l'episodio della Sandrelli.
Non tutti però credettero che quello di Paoli fosse davvero un tentativo di suicidio, ma piuttosto un atto dimostrativo. A tal proposito, Bruno Lauzi riferisce a Renzo Parodi un episodio dell'estate 1966:
"Ci incontrammo al 'Covo di Nord Est' (un noto locale di Santa Margherita Ligure) io, Luigi e Gino Paoli. Tenco si battè la mano destra sul cuore e accennando col capo a Paoli (i due non si rivolgevano più la parola) mi sussurrò: -Chiedigli se ha intenzione di adoperarla per davvero"
Recentemente, con il trascorrere degli anni e con le numerose partecipazioni di Paoli al Premio Tenco e a tutte le manifestazioni in memoria di Luigi, Paoli ha certamente rivalutato la sua esperienza con l'amico di un tempo. Ecco cosa disse Paoli, nel gennaio 1999, intervistato da Gianni Minà per il settimanale "TV Sorrisi e Canzoni":
"La filosofia esistenzialista ci aveva influenzato forse in modo esasperato, così come molti scrittori che utilizzavano l'esperienza come materia prima del racconto, da Henry Miller a Céline, a John Donne, a Sbarbaro o Firpo, ma il giocare la propria vita, ora mi sembra sia stato un azzardo senza senso. Il suicidio di Tenco, poi, è stato un vero spreco. Io, quando decisi di misurarmi in quel gioco insensato, avevo conquistato in poco tempo tutto, amore, successo, ricchezza, fama, prestigio. Tenco no, doveva ancora affrontare tutte le battaglie per affermare se stesso. Privarci del suo talento e della sua umanità, ancora in parte inespressi, è stato uno spreco, l'errore di bruciare anzitempo un'enorme ricchezza intellettuale e umana. Se incontrerò Luigi in un'altra vita glielo dirò."

Sempre nel 1999, in una intervista pubblicata per la collana "Quei favolosi anni '60", Paoli disse:

- A tanti anni di distanza dal suicidio di Tenco, credi che debba essere un po' sdrammatizzata la sua morte?
"Sì, in svariate maniere. Innanzitutto, Sanremo è rimasto lo stesso baraccone, quindi il Festival di oggi non è diverso da quello di allora: nello scontro tra Sanremo e uno come Luigi potrebbe avvenire la stessa cosa. Ti spiego il perché: Luigi era una persona che aveva bisogno di avere fiducia; lui è andato a Sanremo con della gente di cui si fidava e che gli aveva assicurato delle cose. Credo che la cosa che gli ha dato la mazzata sia stato il fatto che qualcuno ha mancato alla fiducia che lui aveva nelle cose, nel pubblico, nei discografici. Luigi era abbastanza infantile come persona: quando abbiamo litigato, credo che sia stata una grossa cosa per lui non avere più una persona che gli dava affidamento".

- Perché avete litigato?
"Per una questione di donne: lui aveva fatto un atto scorretto nei miei confronti, credendo di farlo corretto. È una di quelle cose che si fanno da giovani. L'intenzione era buona, ma poi il risultato è stato cattivo. Anch'io ero giovane ed ho reagito nella maniera sbagliata non parlandogli più. Per lui io ero come un fratello maggiore e quindi sapevo esattamente cosa significavo per lui. Luigi aveva bisogno di una persona in cui aver fiducia, una persona da cui andare quando era nei guai. A Sanremo si è trovato improvvisamente solo e credo che la solitudine sia un mostro abbastanza sgradevole da guardare in faccia".

- Credi che Luigi si sia ammazzato solo perché erano andate in finale "Io tu e le rose" della Berti e "La rivoluzione" di Pettenati?
"Tu vuoi sapere se si è ucciso per Sanremo. Secondo me sarebbe una grossa buffonata uccidersi per Sanremo; prendere Sanremo come punto di riferimento, con quello che è, sarebbe una stupidaggine mostruosa, se non si tiene presente un fatto preciso; cioè la psicosi che avviene a Sanremo. Improvvisamente tutto quello che succede lì diventa la cosa più importante del mondo; può sembrare veramente che la vita finisca o cominci in quel momento. Questa è una psicosi che si verifica a Sanremo, esaltata da varie cose. C'è anche da tener conto del fatto che gira della gente che ti vorrebbe dare delle cose o per farti sentire più calmo o per farti sentire meglio o per farti sentire più su. Queste cose di solito non ti danno lucidità di giudizio: un eccitante preso in un certo momento può servire ad essere più giusto sul palcoscenico, ma, chiaramente, quando l'hai preso, fa un effetto diverso e ti senti sotto i tacchi. Sono diverse le componenti che hanno portato a questa cosa. Una persona come Luigi mi manca tanto oggi, perché viaggiavamo sulla stessa sintonia, potevamo capirci e vivere su un fronte comune. Credo che mi manchi come amico".

- Mi hanno detto che tu e Luigi giocavate spesso sfidando la morte; mi hanno raccontato che stavate su dei cornicioni. Non so se sono cose vere.
"Sì, sono cose vere. Dette oggi possono sembrare ridicole e lo sono. Forse allora non lo erano perché vivevamo in un altro tipo di contesto. La morte, per cominciare, è una cosa che cambia a seconda di chi la guarda e in quale periodo. Noi eravamo appena usciti dalla guerra e la morte l'avevamo vista in faccia tutti i giorni per quattro o cinque anni; questo fa acquistare un'altra fisionomia alla morte. Si poteva giocare a fare queste cose perché eravamo giovani, incoscienti e stronzi, però era una cosa che molta gente faceva. Si chiamava "il gioco del coniglio": un gioco che lasciava alla fine una situazione pericolosa. Il film "Gioventù bruciata" ha caratterizzato un atteggiamento che era di tutti: ogni ragazzo si riconosceva in quei ragazzi perché tutti avevano questo tipo di atteggiamento verso la vita".

- Credi che sia stato un caso che il suicidio di Tenco sia avvenuto verso la fine degli anni '60, in una fase di grossi cambiamenti?
"Si cercano sempre dei significati a posteriori nella morte di qualcuno. Credo che Luigi sia morto per sbaglio, se devo dirti la verità".

- C'è chi dice che giocasse alla roulette russa.
"Non credo. Credo piuttosto che alla roulette russa lo abbiano fatto giocare, che gli abbiano dato una pistola con un colpo in canna e gli abbiano detto: "Prova che vediamo se vinci o perdi". Questo è l'atteggiamento di quelli che lo hanno mandato a Sanremo e di Sanremo stesso: una pallottola buona e 10 cattive. Se ti capita quella buona, hai successo, se ti capita quella cattiva, sei finito. La realtà non è così, ma questa è la psicosi che ti crea Sanremo. La roulette russa gliel'hanno fatta fare. Ma se lui avesse potuto vedere sulla carta questo tipo di comportamento, avrebbe detto che era troppo stupido e che non valeva la pena farlo per una cosa così. Credo che sia morto per caso, perché in quel momento non era in condizioni di giudicare esattamente ciò che stava facendo. Poi altrettanto vero è che la vita era una idea così poco importante che te la puoi giocare per qualsiasi stronzata".

- Ti piaceva "Ciao amore ciao", la canzone che Tenco presentò al Festival?
"No, per niente. Era una brutta canzone. Ma questo non cambia niente: il discorso su Tenco è stato fatto in maniera deformata e allucinante. In Italia quando uno muore diventa bello, intelligente, simpatico, ma non è così. Io dentro al cuore ho il mio amico Luigi, che a volte era cretino, a volte faceva delle porcherie, mentre altre volte aveva delle punte di genialità, di tenerezza e di bontà. Questa persona era fatta di tutte queste cose: fatta anche di "Ciao amore ciao" e di "Vedrai vedrai". Dato che era uno che cercava, fortunatamente, poteva trovare o non trovare, quindi fare una porcheria o una cosa bella. Questo non cambia niente del mio affetto per lui. Non bisogna giudicare male chi "sporca" la memoria della persona: è la realtà che deve rimanere, non questa specie di mito, di figura non più umana che è diventato Luigi. Lui era una persona semplice e normale, con tante particolarità anche brutte. Questo era Luigi, non quella specie di cartolina con le lucine sotto".

- Hanno detto che Dalida ha influenzato negativamente Luigi Tenco.
"Mi rifiuto di pensare che Dalida abbia potuto avere influenze di qualsiasi tipo su chiunque".

- Tu sei molto razionale. Che approccio hai con la morte? Quando scompaiono degli amici, come la prendi e come prendi una tua eventuale scomparsa?
"È un discorso troppo lungo. Non credo nella morte perché non credo nella vita".

- Ma stiamo vivendo!
"Ma stiamo anche morendo. Tu ogni giorno che vivi, è un giorno che smetti di vivere; ogni dente che cade, è un dente che è morto. Stai leggendo un libro che è già tutto scritto ed ogni volta che sfogli una pagina è una pagina che è morta. La vita e la morte sono la stessa cosa: o credi in tutte e due o non credi in nessuna delle due. Io non credo in nessuna della due: è un fatto istintivo. Mi porto dentro la gente: Luigi non è morto perché è dentro di me, non riesco a vederlo morto. Per quel tanto che è stato presente, lo è ancora. È uno scorrere; il primo giorno che vivi è anche il primo giorno che muori".

- Allora è tutta un'illusione. Cosa esiste prima e cosa esiste dopo?
"Non esiste il prima e il dopo: esiste un qualcosa che è già tutto, che aumenta senza aumentare e che diminuisce senza diminuire, una specie di spirale. È un fatto statico, in cui il movimento è solo un'illusione".

- Perché di Luigi Tenco fai "Vedrai vedrai"? È la canzone che preferisci?
"Perché rispecchia quello che pensava Luigi: lui amava molto sua madre e voleva che lei vedesse, un giorno, che suo figlio era diventato qualcuno. Mi piace questa cosa. È la canzone che mi ricorda di più il suo carattere, quello più vero e sconosciuto, di Luigi".

- Nel momento stesso che era arrivato a Sanremo aveva dimostrato a sua madre che era riuscito.
"Non come voleva lui, non credo che fosse quello che voleva fare vedere a sua madre".

- Era stato in televisione, ed allora era importante.
"Luigi non era uno stupido: lui voleva che il suo riuscire fosse relativo a lui, dignitoso per lui. Voleva che fosse un riconoscimento per quello che era lui".
Infine, il 21 febbraio 2000 Paoli scrisse per il quotidiano "Il Mattino" un articolo per ricordare l'amico scomparso (grazie a Claudia per averci inviato questo pezzo):
Ciao Luigi, ciao amico di sempre

"Quando te ne vai è bello avere degli amici che si ricordano di te". Era questa la dedica a Luigi preparata per un disco in cui, insieme con Ornella Vanoni, Alice, Loredana Bertè e altri, cantavo le sue canzoni. Tenco se n'è andato ormai 33 anni fa e sarebbe bello se avesse ancora qualche amico capace di ricordarsi di lui quest'anno a Sanremo. Per la cinquantesima edizione, vedrete, si ricorderanno di tutti, di tutto e di più. Hanno inventato un premio alla carriera, celebreranno re e regine, rivoluzioni e restaurazioni canore. Chissà se troveranno qualche parola per Tenco. E chissà se riusciranno a ricordarsi della sua vita e non solo della sua morte, delle sue canzoni che sono ancora vive, per questo le cantiamo, per questo amiamo andare a Sanremo per un altro festival che porta il nome, ma guarda un po', di Tenco.
Io ricordo quel Luigi là, uno come tutti noi, irrequieti ragazzi al bar che sognavamo di cambiare il mondo, che facevamo cose bellissime e grandi cazzate, con tutti i difetti e tutti i sogni che puoi avere a venticinque anni. Il Tenco triste e depresso che conosciamo era lo specchio di un solo lato della sua personalità. Spesso scherzava volentieri, era allegro, si prestava al gioco. Ricordo una volta, eravamo per lavoro a Roma e dalla nostra stanza d'albergo si poteva vedere un campo dove si stavano svolgendo i campionati di tiro al piattello. Vedevamo benissimo il bersaglio; ci siamo messi a tirare pure noi: hanno dovuto sospendere la gara.
Con Luigi e gli altri "amici del bar" ci divertivamo a suonare il rock and roll, ma lui se ne vergognava un po': leggevamo Sartre e Camus, come migliaia di ragazzi di tutto il mondo, allora. Allora Luigi si faceva chiamare con tanti nomi d'arte diversi, a me piaceva chiamarlo Domenico, era il suo secondo nome, richiamava le sue origini contadine.
Ormai al bar sono rimasto da solo, a ricordare i vecchi amici che sognavano di cambiare il mondo: Tenco, De Andrè, Ciampi. Ma il ricambio è pronto, ci sono i ragazzi del Duemila, che sognano di nuovo di cambiare il mondo, e magari riusciranno pure a farcela. Ciao Luigi, ciao. Forse ci appassioniamo ancora tanto quando parliamo di te perché, così facendo, parliamo di noi stessi, di ciò che siamo stati, di ciò che non siamo riusciti ad essere.

Gino Paoli

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