Prime/Cinema: "La cuccagna"

Si scherza sul "miracolo"


La cuccagna - Regia: L. Salce - con D. Turri, L. Tenco, U. D'Orsi - Prod. C.I.R.A.C. - G. Agilani, 1962 - Distr. Euro (Capitol) - 110 minuti - v.m. 14 anni - Disco giallo.

Questa volta Luciano Salce non ha azzeccato il terno. C'era riuscito con "La voglia matta" ma a soli 6 mesi di distanza era difficile ripete il colpo: più che ogni altro genere, la commedia è l'arte della pazienza.
Con "La cuccagna" ha mirato in alto: il "miracolo economico" con i suoi sprechi e le sue contraddizioni, il dilagare degli appetiti e la tetra allegria. L'odissea di Rossella, figlia di quel ceto della Capitale ancora in bilico tra proletariato e borghesia, fa da paradigma: munita di un diploma di stenodattilo, la ragazza si mette alla ricerca del primo impiego. Le disillusioni cui va incontro assumono a poco a poco una cifra sola: quella del gallismo, e già è palese un limite del film.
È il miracolo visto da Roma, anzi da quella Roma di convenzione cara agli sceneggiatori e ai registi di Cinecittà.
A Rossella fa da contraltare Giuliano che, nel suo anarchismo arrabbiato ma pieno di buon senso, le fa da mentore e protettore nella squallida giungla di cemento armato e di cambiali in protesto. A noi questo Giuliano garba: è il personaggio più riuscito del film, anzi l'unica figura che ha lo spessore e le ambizioni di un personaggio (il Bebi Visonà, l'industriale veneto e arruffone di Umberto D'Orsi, dà colore e movimento e comicità alla commedia ma è poco più di una macchietta) ma è caricato di significati troppo grandi: con lui si arriva addirittura alla denuncia della guerra atomica. Insomma, Salce ha messo troppa carne al fuoco, e, com'era inevitabile, non ha poi saputo cuocerla a dovere.
Pur trattato con ironia, il tentato suicidio della giovane coppia si riduce ad essere un pretesto per una sequenza antimilitarista che ha un suo garbo ma superficiale, ne fa la spia la conclusione della vicenda, improntata a un facile ritorno ai sentimenti privati. Si è tentati di dire che con certi argomenti è difficile scherzare. Con l'omosessualità, per esempio. È di moda, d'accordo (una deprecabile moda) ma si rischia di scivolare sul piano inclinato della volgarità: non possiamo perdonare a Salce la scena dei due fratelli che piangono, abbracciati sul letto, col rimmel che gli brucia gli occhi.
Eterogeneo e sgangherato, confinato nella parodia anche quando ha le ambizioni della satira, "La cuccagna" offre, comunque, più di un momento divertente, più di una battuta che va a segno. Come nella "Voglia matta", Salce ha poi un suo agile, nervoso, diretto modo di aggredire la realtà, di braccare i personaggi, di confondersi nella vita di una città. Inoltre conferma la sua sagacità di direttore d'attori; non era facile affidare le parti principali di una commedia a tre esordienti come la Turri, il Tenco e il D'Orsi (proveniente quest'ultimo dal teatro di rivista), e ci è felicemente riuscito.

Morando Morandini


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